Design thinking, cos’è e come funziona

Pubblicato il 04 Mag 2018

design thinking

Tra le nuove competenze che gli studenti dovrebbero fare proprie in funzione dell’ingresso nel mondo del lavoro, vi è la conoscenza e la capacità di applicare la metodologia del ‘design thinking‘, venuta alla ribalta in questi ultimi anni per la sua capacità di generare risposte innovative a problemi e bisogni concreti. Di conseguenza è sempre più utilizzato in contesti aziendali, negli studi professionali, tra i liberi professionisti, come metodo per migliorare costantemente. E’ persino utilizzato dagli avvocati, si chiama legal design.

In sintesi lo possiamo definire come un processo creativo strutturato focalizzato sulla soluzione, sul risultato.

Nonostante il design thinking non rappresenti un approccio di per sé completamente nuovo, negli ultimi 10 anni ha subito innumerevoli trasformazioni che, se da un lato hanno reso sempre più difficile definirlo in modo preciso, dall’altro lo hanno reso interessante a un insieme crescente di attori al di fuori del mondo del design. L’avvento del digitale, nelle sue diverse declinazioni, ha accelerato tale fenomeno e abilitato ulteriori trasformazioni del design thinking. Così oggi è ampio il suo campo di applicazione, da quello artistico/umanistico allo scientifico, dai problemi sociali alla creazione di un nuovo prodotto, dall’organizzazione aziendale (quest’ultima sviluppatasi all’Università di Stanford), alla progettazione di esperienze digitali, fino ad arrivare anche alla formazione, in molte Business School il design thinking sta diventando un argomento quasi imprescindibile.

“Design thinking is a human-centered approach to innovation that draws from the designer’s toolkit to integrate the needs of people, the possibilities of technology, and the requirements for business success.”
— Tim Brown, CEO of IDEO

Il processo di design thinking

Come detto sopra, il design thinking è una metodologia per risolvere problemi in modo creativo. Si tratta quindi di un processo ben definito, de segue determinati step:  1) comprensione, 2) esplorazione e 3) concretizzazione. All’interno di questi step rientrano le 6 fasi: empatizzare, definire, ideare, prototipare, testare e implementare. Un’ottima spiegazione in questo articolo.

Il service design

Il service design è una categoria molto importante del design thinking, perché è volto progettare meglio le interazioni e le esperienze tra i servizi e le persone.

Oggi ci stiamo spostando da un’economia di prodotti a un’economia di servizi ed esperienze, anche i prodotti fisici vengono oggi proposti sotto forma di esperienza piuttosto che di prodotto puro, un’evoluzione e combinazione di tangibilità e di intangibilità. Il service designer è colui che deve valutare la situazione, capire l’interazione, darle un senso, e renderla fluida, col minimo attrito. Ciò che deve emergere, e che avviene dall’ambito dello Human Centred Design, è generare attrazione attraverso la sovrapposizione di questi tre fattori: fattibilità, desiderabilità e praticabilità (feasible, desirable and viable).

All’inizio il service design era applicato quasi esclusivamente al concetto di possesso, oggi la sua definizione e applicabilità è più articolata ma il concetto resta il medesimo: fino a che punto le nuove funzionalità possono essere proposte attraverso nuovi servizi? Come organizzare qualcosa per avere un’esperienza positiva? Un buon libro che dettaglia tutto è ‘This is service design thinking’. Il concetto di Design con la D maiuscola è cambiato, non si rivolge più all’estetica e il funzionamento, ed è più contestuale, globale e olistico. Disegnare vuole dire partire da un punto a un altro, ma anche capire lo spazio, le capacità, i bisogni, i motivi e i comportamenti.

L’industrial design è in evoluzione e si applica sempre più a vari ambiti: dal product design all’architettura e al fashion per esempio. Richard Buchanan, professore di design, management e sistemi informativi, attualmente docente della Weatherhead School of management presso la Case Western Reserve Univerisity in Usa e specializzato in interaction design afferma che il design non ha un soggetto o una materia predefinite, ed è per questo che si tratta di una disciplina molto efficace: “Siamo noi che rendiamo importante il soggetto del nostro lavoro perché il design ha il potere di integrare varie discipline”.

Il service design aiuta le imprese e aziende a lavorare in un modo meno rigido, più focalizzato e veloce, e soprattutto a meglio comprendere e interpretare le richieste e le esigenze degli utenti.  Si diverge, si converge, si itera più di una volta, si definisce, si prototipa e si testa.

È un approccio questo in grande crescita e lo sono le metodologie che si concentrano su problemi complessi, questo insieme crea un ambiente per nuovi strumenti di progettazione, ma anche strumenti pensati per aiutare a progettare anche coloro che non sono designer come per esempio : Service design toolkit ; Gamestorming e Smaply.

Legal design

E’ uno dei campi di applicazione del design thinking più interessanti. Si definisce ‘legal design” l’applicazione del design thinking al mondo della legge, per realizzare forme di comunicazione e interazione finalizzate al miglioramento di procedure legali e in ultima analisi, a rendere la giustizia più comprensibile, più accessibile, più affascinante. Un pilastro del legal design è la visualizzazione di contenuti legali tramite sintesi grafiche, infografiche, mappe, schizzi, cartoon, strumenti interattivi.

Il Legal Design nasce come esigenza, da parte di chi ha una produzione legale che sia documentale o legislativa, di rendere il prodotto chiaro, semplice e immediato ma, soprattutto, comprensibile a chiunque ne abbia conoscenza, senza tralasciare l’aspetto estetico – engaging – che svolge, in questo caso, la funzione di attirare e rendere immediatamente piacevole l’argomento in trattazione. (fonte Associazione magistrati)

Il legal design è una materia multidisciplinare, e non potrebbe essere altrimenti visto che coinvolge avvocati, giuristi, designer, comunicatori fino ad arrivare ai programmatori: tutti impegnati a rendere chiaro e facilmente percepibile il framework che regola (o dovrebbe regolare) il nostro vivere in comune come persone, cittadini, aziende.

Il legal design è una disciplina che può servire a) nella progettazione di procedure; b) sia nella realizzazione di norme; c) sia nella produzione di materiali informativo in ambito legale. Si caratterizza per il fatto di mettere al centro del progetto l’utente finale, il destinatario del servizio giustizia, il destinatario di una sentenza, il cittadino tenuto a certi obblighi. E’ su di lui, e sulla sua capacità di comprendere il messaggio “giuridico”, che si basa l’architettura complessiva il cui risultato potrà godere anche di una forma visual diretta ed efficace.

Attualmente il legal design è studiato e implementato soprattutto in Finlandia e in Europa centrale, dove nei paesi di lingua tedesca sono stati coniati termini specifici per la legal visualization (Rechtsvisualisierung),la  visual legal communication (Visuelle Rechtskommunikation), e la visual law (Visuelles Recht).

(fonte Altalex)

Tra i principali esponenti del legal design ci sono Margareth Hagan – fellow alla Stanford University (una sua lezione video qui) – esperta di design legale e della comunicazione https://www.openlawlab.com/; il team di Lexpert, composto dall’avvocato Helena Haapio che propone il concetto di “Proactive law”,  l’italiana Stefania Passera che, attraverso le Legal Design Jams, ha ideato una sorta di hackathon dedicato a sviluppare progetti di legal design,  infine Annika Varjonen, comunicatrice grafica.

La Hagan ha scritto il libro ‘Law by Design’, di cui è disponibile un’anteprima qui per introdurre avvocati e giuristi nel mondo del legal design.

Qui di seguito una spiegazione video del design thinking di IBM Think Academy.

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