L’Intelligenza Artificiale è un tema di cui sentiamo parlare quotidianamente. Le posizioni sono le più disparate e spesso si polarizzano: da un lato c’è chi vede questa grande innovazione come qualcosa che avrà effetti molto negativi, e dall’altra parte c’è chi invece pensa che le conseguenze positive avranno la meglio.
Al centro delle conversazioni a riguardo ci sono soprattutto i cambiamenti che l’AI potrebbe portare nelle diverse professioni. Scenari tragici o idilliaci sono ancora lontani e restando con i piedi per terra, EY (multinazionale di servizi professionali di revisione e organizzazione contabile, assistenza fiscale e legale, transiction e consulenza), ManpowerGroup (multinazionale del settore delle innovative workforce solutions) e Sanoma Italia (player europeo dell’editoria scolastica), hanno condotto uno studio per capire come cambierà il mercato del lavoro in Italia da qui al 2030.
La ricerca, intitolata “Il futuro delle competenze nell’era dell’Intelligenza Artificiale”, è stata elaborata proprio grazie a tecniche di AI e algoritmi di Machine Learning. Lo scopo? Costruire un modello predittivo della domanda di competenze e professioni nel nostro Paese.
Complessivamente niente di allarmante, il trend della domanda del lavoro rimarrà positivo almeno per tutto il decennio, con dei lievi rallentamenti a partire dal 2024 e poi più significativi dal 2027. La ricerca ha individuato per quali professioni la diminuirà e per quali aumenterà. Curios*? Scopriamole!
AI e professioni: quali saranno sempre meno richieste
I primi lavori che vedranno una flessione nella domanda saranno quelli associati ad attività ripetitive, a basso contenuto intellettivo e che richiedono meno qualifiche. Per questi infatti l’automazione gioca un ruolo da padrone, basta pensare a quello che è successo a chi faceva i biglietti sopra le vetture dei mezzi di trasporto pubblici, quando si sono diffuse le macchine obliteratrici e i sistemi di pagamento nfc.
Oltre ai lavori a qualifica minore, diminuirà la domanda anche di quelle professioni qualificate e imprenditoriali che sono collegate a settori a bassa crescita (ad esempio il settore primario, cioè quello che comprende le industrie che si occupano di reperire e lavorare le materie prime, come l’agricoltura, l’allevamento e la pesca).
Sono a rischio anche alcune delle professioni a qualifica media: conduttori di impianti, tecnici, impiegati di ufficio che lavorano con la gestione dei dati e professionisti della logistica. Ma anche i lavoratori dei settori delle banche e delle assicurazioni. Hai mai notato quante filiali fisiche hanno chiuso negli ultimi anni? Questo è dovuto all’utilizzo sempre maggiore di tecnologie dei dati… ormai facciamo tutto con un’app!
Il motivo per cui la domanda di certe professioni cala è spesso associato a una mancanza di adattabilità delle competenze e a una specializzazione troppo verticale, perché basata su conoscenze e abilità tecniche.
AI e professioni: quali saranno sempre più richieste
Ma non solo cattive notizie, i settori in cui potrai trovare più facilmente lavoro sono tanti: l’AI avrà un impatto positivo sulla domanda delle professioni appartenenti a 9 settori su 23 analizzati. Tra questi vi sono settori tecnologici come le telecomunicazioni, le public utilities e la chimica, che comprendono sia professioni altamente qualificate (come specialisti in reti e cyber security, ingegneri dell’automazione e biomedici) che figure più tecniche impegnate, ad esempio, nel web.
Ecco più evidente l’impatto dell’innovazione tecnologica sul mercato del lavoro: i profili più richiesti saranno quelli in grado di disegnare, gestire e implementare queste stesse tecnologie avanzate.
Ma, se non sei un’appassionato del mondo tech non temere, saranno sempre più ricercati anche i professionisti dei settori legati alla trasformazione dei servizi e delle competenze, come i servizi di cura, di educazione, di formazione e di lavoro.
E, dato che l’AI avrà un impatto sui processi e sui modelli lavorativi, saranno necessarie le figure manageriali come i direttori di amministrazione e finanze e gli specialisti di organizzazione.
Insomma, ce n’è per tutti!
AI e professioni: rischi e possibili soluzioni
Ma come si gestiscono tutti questi cambiamenti? Sia che si tratti delle professioni la cui domanda è destinata a crescere, sia che si tratti di quelle con domanda in calo, imprese, sistema dell’istruzione e sistema istituzionale, sono chiamati a intervenire.
Nel primo caso, è necessario formare professionisti con le giuste competenze, per evitare una situazione di talent shortage (carenza di talenti). Nel secondo caso invece, la forza lavoro in eccesso deve essere riassorbita in altri ruoli.
Questa situazione, se mal gestita, potrebbe portare a un mismatch tra domanda e offerta di lavoratori. Una soluzione è da individuare nella formazione, che assumerà un ruolo di crescente importanza anche grazie alla stessa Intelligenza Artificiale: rendere corsi e programmi più accessibili, potrebbe aiutare ad allineare le offerte dei sistemi di istruzione con le trasformazioni del mercato del lavoro.
Ma sarà sempre più importante anche l’orientamento svolto sin dalle scuole secondarie, per aiutare i ragazzi a capire quali percorsi formativi intraprendere per essere più competitivi in futuro.
Come cambieranno gli skillset
Gli skillset, cioè il bagaglio di competenze dei lavoratori, sono destinati a cambiare: le professioni più tecniche dovranno aumentare la varietà di skill possedute, sia hard che soft; e le professioni ad alta specializzazione dovranno approfondire sempre di più il proprio settore di competenze.
Inoltre, le skill sulla sostenibilità saranno richieste in modo crescente e a tutti i livelli: si stima che su queste si dovrà formare il 60% della forza lavoro.
Il mismatch delle università italiane
Ma anche le università devono fare la loro parte: è emerso un disallineamento anche tra le competenze dei neolaureati e quelle richieste dai lavori di primo impiego. Si stima che questo mismatch è destinato a crescere, soprattutto per quanto riguarda i percorsi STEM e per i lavori di neolaureati triennali.
Il motivo di questa mancanza da parte degli atenei italiani è correlato al fatto che i programmi dei corsi di laurea non sono soggetti a modifiche dinamiche e veloci, come invece lo sono le skill richieste dalle diverse professioni.